ARMIDA

ATTO PRIMO

SCENA I

Parco delizioso, che s’apre in vari Viali ombrosi, in fondo à quali si vede in lontananza il magnifico ingresso dell’ incantato Palazzo d’Armida. In mezzo al gran Parco, alle fiorite sponde d’uno spazioso lago sono imbandite delle ricche mense e stanno scherzando leggiadre donzelle, intrecciando a una lieta danza il seguente.
Coro
Sparso di pure brine
All’ aure mattutine
Come vermiglio un fior
Spunta sul primo albor
Poi langue, e muore.
Passa per noi così
Il fior della beltà,
É dura un breve di,
Se nella fresca età
Nol’ coglie amore
Una parte del Coro
Donzelle semplici
Non vi lagnate,
Che troppo rapida
Fugga l’età
Se fresche e giovani
Non v’affrettate
Il frutto a cogliere
Della Beltà.
Donzelle semplici
Non vi lagna…

SCENA II

Ismene frettolosa, e affannata, e dette.
Ismene
Ah difendete, amiche,
Il confidato passo. À noti segni
Imminente è il periglio, e nel più chiuso
Del custodito albergo, onde gelosa
Vieta l’accesso à suoi più fidi, e dove
Sola, e sicura al suo poter si fida,
In mezzo à frutti suoi, minaccia Armida.
Collo spuntar del sole
Più non appar la tenebrosa, e folta
Nebbia, che ad ogni sguardo
Quest’ Isola ascondea ; meste, e confuse
Strida ingombrano il lido, e ignoto legno
Vi si scorge in sicuro : Erranti e sparsi
Vidi i Mostri custodi
Fuggir per l’erta, e s’altri accorre, e chiede
La cagion della fuga, un tal terrore
Quella Guardia fatal turba, e confonde
Che torce altrove il corso, e non risponde.
Alle parole d’Ismene le donzelle s’attruppano interno ad essa impaurite.
Coro
Ah fralla nera
Densa caligine
La riva inospita
Chi mai scuoprì ?
Ah fralla schiera
Dé mostri orribili
Qual Diò, qual Demone
La via s’apri ?
Ismene
In si crudel dubbiezza ah non perdiamo
I momenti in querele. Un finto riso
Cuopra il nostro terror. Tutto respiri
Letizia, e pace ; e parolette accorte
E languidi sospiri, e molli sguardi
Tutto si metta in opra, e tutto alletti
L’incauto vincitore à sorsi infetti.
Le difese preparo, e non conosco
O il periglio, o il nemico. Ah se lo guida
Forza maggior, di fé, di zelo almeno
Si compiscan le parti
E poi… Che veggio ? Ecco il nemico : All’ arti.
Guardando con sorpresa dentro la Scena; e assieme colle donzelle ripigliando il ballo, e il canto.
Coro
Sparso di pure brine
All’ aure mattutine,
Come vermiglio un fior
Spunta col primo albor… oh noi meschine ?
Esce Ubaldo, e le donzelle come impaurite fingono di ritirarsi altre verso il fondo altre fragli alberi.

SCENA III

Ubaldo e dette.
Ubaldo
Ecco l’onda insidiosa ; ove col riso
Altri beve la morte. Io la ravviso
Alle fiorite sponde,
À lauti cibi, alle Sirene immonde.
Con quant’ arte dispose i neri inganni
L’accorta Maga !
In aria ridente, fingendo di richiamar le compagne impaurite.
Ismene
Ah dileguate amiche,
L’importuno timor. Guerra non reca
Alla tranquilla sede
Questo prode guerrier. D’ogni diletto
Vieni a parte con noi ; vieni a deporre
Quell’ inutile acciaro
Fortunato stranier ; dolce ristoro
T’offre la mensa, e il rio. De’ fieri mostri
La perigliosa guardia
Più a temer non ti resta ;
Altra specie di pugna Amor t’appresta.
Tutto il Coro con Ismene
Vieni al fonte del contento,
Fortunato passeggier.
E’ perduto ogni momento,
Che si perde pel’ piacer.
Ismene
Dell’ Amor la reggia è questa,
La delizia de mortali ;
Nell’ oblio di tutti i mali
Qui si viene a riposar.
Qui non v’è cura molesta,
Che il piacer di tosco infetti,
E il più dolce de diletti
Non ti costa, che il bramar.
Tutto il Coro
Vieni al fonte del contento,
Fortunato passeggier.
E’ perduto ogni momento,
Che si perde pel’ piacer.
Ubaldo
Che periglioso assalto !
Ismene
Al dolce invito.
Perchè resisti mai ? Non prega invano
Donzella in fresca età. Trarrotti io stessa
L’elmo lucente, e questa,
Con cui distingue Armida
I fidi servi suoi, fiorita insegna
Al crin ti cingerò.
Prendendo une Ghirlanda di fiori, e in atto di levar l’elmo ad Ubaldo.
Ubaldo rispingendola con severità.
Scostati, indegna
Riserba a miglior uso
I finti vezzi, e le lusinghe accorte.
Puoi col riso sul labro offrir la morte ?
So qual tosco s’asconde
In que’ cibi, in quell’onde, e le temute
Vane frodi d’Armida…
Coro delle Donzelle
(tutte impaurite scostancdosi da Ubaldo.)
Ah siam perdute.
Ismene
In mal punto ricusi,
Malnato Cavalier, l’offerta pace,
E l’offerta amistà ; se à molli preghi
Altro ch’ onte, e disprezzi offrir non sai
Guerra apporti, infelice, e guerra avrai.
Mostri i più crudi, e infesti
Della magion di Dite
Da’ cupi antri funesti,
Al cenno mio, venite.
S’oscura la scena, e si cambia in un luogo orribile, presentandosi in vari gruppi minaciosi i Demoni a spaventare Ubaldo.
Coro di Demoni
Qual è la man che scuote
L’Antica Reggia a Pluto ?
Qual è il poter temuto,
Che noi dagli antri orribili
Richiama à rai del dì !
Strazin le fiere Eumenidi,
Strugga la fiamma ultrice,
L’incauto, e l’infelice
Che provocarlo ardì.
Ubaldo
Quanto fragili, e vane, immondi spirti,
Son l’armi vostre incontro al Ciel ! Mirate
Quanto è lieve il contrasto, e quanto poco
Basta, infelici, a richiamarvi al fuoco.
Tornate al nero Abisso,
Onde l’orror v’alberga,
E d’una sola verga
All’agitar sparite.
Allo scuoter che fa Ubaldo incontro à Demoni la magica verga fuggono questi impauriti nella più gran confusione.
Coro di Demoni
Qual Sibilo orrendo
Per l’aer rimbomba ?
Qual braccio tremendo
Ci opprime cosi ?
Spariti i mostri ritorna nel suo primo ridente flate la scena.
Ubaldo
Eterno Proveder, tu che guidasti
Per si strano camino i passi miei
Scorgigli al fin prescritto. Ecco l’albergo,
Ove, in grembo al piacere, al giogo indegno
Di beltà lusinghiera
Il tuo giovane Eroe piega la fronte,
Tu che percuoti il monte, e dall’ estrema
Falda si scuote, e fumo, e fiamma spira,
Tu che nel mezzo all’ ira
Il suol rimiri, e il suol vacilla, e trema,
Scuoti, scuoti, gran Dio, dal cupo sonno
Quell’ alma incauta, al guardo suo disvela
L’orror de’ falli suoi, dell’empia Armida
Sien le frodi schernite,
E trionfi il tuo nome in faccia a Dite.
Finta larva, d’Abisso frall’ ombra,
Il piacere gli scherza d’intorno.
Ah se il sonno di morte l’ingombra,
Se i suoi lumi si chiudono al giorno,
Nell’ orrore del carcere indegno
Più che a sdegno ti muova a pietà.
Sciogli, sgombra, la notte funesta,
Dio possente, lo scuoti, lo desta.
Chi può trarlo dall’ ombra di morte ;
Se i tuoi raggi per scorta non hà ?
Il tuo spirto m’infiamma, m’accende
Dio possente lo sento, lo scerno.
Ah le frodi, e le forze d’Averno
Van contrasto saranno al tuo vanto,
E l’incanto di vana beltà.
Parte verso il fonde.
Fine dell’ Atto primo.
 

ATTO SECONDO

SCENA I

Spazioso ameno Giardino in fondo al quale si vedono i tortuosi intricati portici del Laberinto, cho le circonda. Armida e Rinaldo assisi sull’erba, e intessendo ghirlande.
A 2
Qui’l regno è del contento ;
La sede del piacer.
Rinaldo
Fresch’ ombre, e verdi sponde,
Cui bagna un rio d’argento
C’invitano a goder.
Per che la terra e l’onda
Spirino un dolce ardor,
Sembra che fin d’amor
Mormori il vento.
A 2
Qui’l regno è del contento ;
La sede del piacer.
Armida
Folle chi della vita
Passa il breve momento
In torbidi pensier.
Che val l’età fiorita,
Che val ricchezza ed or,
Se cambia un van timor.
Tutto in tormento.
A 2
Prezioso è il tempo, e lieve,
Facciamone tesor.
La vita è un camin breve
Sparghiamola di fior.
Armida alzandosi di sul prato in atto di partire.
Addio.
Rinaldo arrestendola affettuosamente
Già m’abbandoni ?
Armida
Ah questà è l’ora
Che da te lungi, o caro,
Mi richiama ogni dì.
Rinaldo
Mà qual ti sforza
A rapire ogni giorno
Tanti dolci momenti al nostro amore
Cruda barbara legge ?
Armida
Il mio timore.
Rinaldo
Timor ? Di che ?
Armida
Del tuo, del mio riposo.
Rinaldo
E chi potrai turbarlo in questa, o cara,
Separata dal mondo ignota sponda ?
Armida
Numi ! Il guardo del sole, i venti, l’onda…
Ah tutto a chi ben ama
È cagion di timor. Per nostro asilo
Quest’ isola felice io scelsi in vano
In grembo all’ Oceano. In van le cinsi
Di fosca nebbia il piede, e i fianchi, e il tergo
Di dirupate orride balze, aggiunsi
Folta guardia di mostri, e d’insidiose
Sirene allettatrici ! I frutti, i fonti
Di tosco aspersi, e quanto miri in lei
E gli augelli, e le piante, e l’onda, e il vento
Tutto è in nostra difesa, eppur pavento.
Ah dal dì ch’io cangiai
Perte, bell’idol mio, gli affetti miei ;
Patria, regno, tesor, tutto perdei ;
Pensa, che s’io ti perdo,
Fuor che il rossor della mia fè tradita,
Nulla mi resta.
Rinaldo
Ah non temer, mia vita.
Sai che la mia tu sei,
Come io son l’alma tua ; che non poss’io
Viver da te diviso un sol momento ;
Sai che ogni mio contento,
Ogni mia speme è in te, ch’ altro non bramo,
Che col tuo dolce nome il fiato estremo
Spirar frà labbri tuoi.
Armida
Lo so : ma tremo.
Tremo, bell’ idol mio,
Ma questo mio timor
Non è tormento.
E’ vita dell’ amor
E stimolo a goder,
Per lui tutto il’ piacer
Di possederti ; oh Dio,
Tutto risento.
Langue nel sen l’ardor,
Langue il desio,
Quando a temer non s’hà,
E troppa sicurtà
Non è contento.
Parte.

SCENA II

Rinaldo solo.
Rinaldo
E non deggio seguirla ? Ah senza Armida
Son secoli gl’istanti. A che mi giova
Il ridente soggiorno, e dove or sono
Tante varie bellezze, onde l’adorna
La prodiga natura agli occhi miei ?
Ah che vicino a lei
Tutto è lieto, e giocondo,
Ride il cielo, ride il mondo,
Ma cuopre un fosco velo,
Se s’allontana Armida, e terra, e cielo,
E diventa per me da lei diviso
Un deserto d’orror l’istesso Eliso.
Lungi da te, ben mio,
Se viver non poss’ io,
Lungi da te, che sei
Luce degli occhi miei,
Vita di questo cor ;
Venga, e in un dolce sonno,
Se te mirar non ponno,
Mi chiuda i lumi amor.
Rimettendosi a seder sull’erba.
Forse, chi sà ? Verranno
Con’ un leggiadro inganno
In sembianza d’Armida i lieti sogni
A lusingar mia sorte
In questo dolce immagine di morte.
Oh inganno fortunato,
Che le più care idèe finga il pensiero,
E da un finto piacer lo chiami al vero !
Vieni à me sull’ ali d’oro
Lusinghier sogno amoroso,
Ingannando il mio riposo
In sembianza del mio ben.
Trovi in te per pochi istanti
Il mio cor qualche ristoro,
Finche amor del mio tesoro
Faccia poi svegliarmi in sen.
S’addormenta e al suono d’una soave sinfonia escono da vari luoghi leggiadri fantasmi a uso di piaceri, ballando intorno a Rinaldo.

SCENA III

Ubaldo e detto. Al finir della breve dolcissima sinfonia, si sente un confuso strepito in lontananza, e si vede entrar Ubaldo di fondo fra portici, che circondano il Giardino e spariscono le larve.
Ubaldo
Oh come in un momento
Dell’ incantata mole
Tutto l’orror spari,
Qual nube in faccia al vento,
Qual fosca nebbia suole
A’ caldi rai del dì.
Così molle, e ridente
E’ il sentier delle colpe, e l’alma alletta
Per agevol pendìo
Rivoltarsi, e smarirsi, e se pur tardi
Dell’ inganno s’avvede,
Trova, in ritrarne il piede
Della piaggia fiorita,
Penosa, inestricabile l’escita.
Qui del giovin Rinaldo
E’ la dolce prigion ; così lo tiene
Fralle catene Armida, ed ei non sente
Il peso de’ suoi lacci, e in ozio imbelle
In oblio di se stesso… Eccolo. Oh stelle !
Accorgendosi con sorpresa di Rinaldo che dorme.
Eccolo in brembo à fiori
Che placido riposa. Ah sconsigliato !
Che letargo funesto ! Orrido abisso
Gli si spalanca al piede, e mentre intorno
Vegliano alla sua preda
Mille mostri d’Averno in varie forme,
Sulla sponda fatal riposa, e dorme !
Si scuota al fine. Al guardo suo risplenda
Scuopre da un velo il lucido scudo, e l’appende ad un ramo.
Questo lucido specchio, al di cui lampo
Non regge ombra d’inganno ; i molli fregi
Della sua schiavitù vegga e il suo stato
Pentimento, rossor, dispetto, ed ira
Gli svegli in sen.
La scuote con forza e si ritira in disparte ad osservarlo.
Gli svegli in sen.Sorgi, Rinaldo, e mira.
Rinaldo
Misero ! chi mi scuote ? Equale in questo,
Breve sonno affannoso
Turbano idée funeste il mio riposo !
Oh morte ! orribil larva ! Agli occhi miei
Qual poter ti presenta ? e come appresi
A temerne l’aspetto ? Un freddo gelo
Mi sparge in seno, i falli a me rinfaccia,
E il ferro micidial vibra, e minaccia.
Quale insolito orror ! quai nuovi sensi
M’agitan l’alma… e quale
Mi ferisce lo sguardo
Improvviso baglior ?
Alzandosi spaventato.
Improvviso baglior ?l’arme lucenti
Chi recò ? come ? quando ? e in essa… Oh Dio !
Quanto da me diverso !…
Mi riconosco appena. A questo segno
Avvilirmi potei
Trasformarmi così ?

SCENA IV

Armida affannata e detto.
Armida
Soccorso, o Dei !
Ahime ! son tradita,
Mi palpita il core,
Soccorso, pietà.
Rinaldo
Che dici ? ah mia vita,
Qual nuovo terrore
Tremare ti fà ?
Armida
M’opprime l’affano.
Rinaldo
Ah palpito anch’io.
Armida
Che dubbio tiranno !
Rinaldo
Ma spiegati.
Armida
Oh Dio !
Rinaldo
Ma parla.
Armida
Non sò.
A 2
In tanto periglio
Tal velo ho sul ciglio,
Che ben non comprendo
Che parlo, che fò.
Rinaldo
Questo arcano funesto
Spiegami per pietà. Del tuo spavento
Dimmi almen la cagion ;
Determina, se puoi
I miei sospetti in rivelando i tuoi.
Armida
Ah siam perduti. Uno straniero ignoto
Nell’ isola approdò. Lo spazio immenso
Del periglioso mar, che ci divide
Dal resto de’ viventi,
Varcò sicuro, e i fieri mostri, e il giogo
Dirupato del colle, e il dolce incanto
Delle ninfe lascive, e fin del chiuso
Intricato recinto
Il fier custode in un sol giorno ha vinto.
Rinaldo
E non sospetti ancora
Come qui giunse, e d’onde,
A che venne, chi sia, dove s’asconde ?
Armida
Questa è de’miei spaventi
La più fiera cagion. Poter maggiore
Del mio poter lo guida, e rende vane
Tutte le mie ricerche. Ah già col piede
Premo l’ampia ruvina
Dell’incendio crudel, che tutto intorno
Strugge, abbatte divora ;
E la fiamma crudel non scopro ancora.
Rinaldo
E temi ?…
Armida
E che potrei
Altro temer, ben mio,
Dall’ irata del Ciel vindice mano,
Che di perderti, oh Dio ?
Rinaldo
Paventi in vano.
Ah questi molli fregi, onde ti piacque
Avvilirmi così, non han sopita
Tutta la mia virtù, mi prende al fianco
Non vil l’acciaro, e inerme ancor saprei,
Non che ignoto guerriero,
Sfidare in tua difesa il mondo intero.
Dilegua il tuo timore,
Serena i mesti rai ;
Sai ch’io t’adoro, e sai,
Ch’io morirò per te.
Armida
Taci, che accresci al core
Il suo mortale affanno.
L’ira del Ciel tiranno
Tutta si sfoghi in me.
Rinaldo
Mio ben.
Armida
Mio dolce amore,
A 2
Che barbaro momento,
Rinaldo
Io tremo al tuo terrore
Armida
L’alma mancar mi sento
A 2
Ne intendo il mio spavento
Ne posso dir perché.
Rinaldo
Ma il mio soccorso ?
Armida
E’ vano.
Rinaldo
L’amore…
Armida
E’ mio periglio.
Rinaldo
Il Cielo…
Armida
Ah de’ suoi fulmini
Già balenar sul ciglio
Mi vedo acceso il lampo.
Rinaldo
No mira al nostro scampo
Quall’armi il Ciel mi diè ;
Stacca lo scudo e l’imbraccia.
Vedi
Lo presenta ad Armida.
Armida
Oh stelle ! che luce funesta !
Ritirandosi spaventata.
Fuggi ascondi…
Rinaldo
Ma senti, t’arresta
Confuso in Atto di trattenerla.
A 2
Ah che strana vicenda è mai questa,
Non più orribil la morte non è.
Fugge spaventata.
Rinaldo
Ora si ch’io mi perdo. Ah chi le inspira
Questo nuovo terror ? Teme il periglio,
E aborrisce l’ajuto ! Il Ciel pietoso
M’arma per sua difesa, e sul suo capo
Il Cielo, se credo a lei, fulmina e tuona !
Di perdermi paventa, e m’abbandona !
Misera ! Oh Dio ! la rende
Forfennata l’affanno. In questo stato
Lasciarla in preda al suo crudel deliro
Saria…
Risoluto in atto di seguire Armida.

SCENA V

Ubaldo e detto.
Ubaldo
Fermati, incauto.
Rinaldo
Oh Ciel ! che miro ?
Ubaldo
Ah Rinaldo Rinaldo,
Dove fuggi, che fai ? Così del Cielo,
Che suo campion t’elesse
A difender la Fede, a strugger gli empi
Gli alti disegni, e i vaticini adempi ?
Così da te Gerusalemme aspetta
Libertade, e vendetta ? Ah chi ti rende
Così da te diverso,
Si vile agli occhi miei ? Beltà fallace,
Che ti guida a perir ; che ti prepara
Un laccio ad ogni passo,
Un angue in ogni fior. Folle ! e non vedi,
Che quanto in lei di lusinghier t’apparve
Son d’Averno, a sedurti, inganni, e larve ?
Torna, torna in te stesso
Sconsigliato che sei. Cogli il momento,
Che da te fugge intimorita al campo
Di quest’ arme fatal. Fuggi, deludi
Le lusinghe fallaci.
Rinaldo
Misero me !
Ubaldo
Tu non mi guardi, e taci ?
Tu arrossisci nel volto ! Ah quel rossore
E il color di virtù. Torna, Rinaldo,
Alla gloria, all’onor. T’aspetta il Campo,
Ti richiama Goffredo,
Per sentier di prodigi il Ciel ti guida,
L’indugio è morte.
Rinaldo
E ho da lasciare Armida ?
Ubaldo
Ingrato ! ah nel tuo core
Chi bilancia il tuo Dio !
Rinaldo
Ma le promesse,
La fede, amico, i giuramenti miei ?
Ubaldo
Gli rompi al Ciel per conservarli a lei ?
Sai pur con quante frodi,
Con quant’arti sostei de’ nostri Duci
E più prodi sedusse, e in rea catena
Gli serbava crudel a duro fato,
Se tu non eri ; e tu la piangi ? Ingrato !
Tema per te. Tempo verrà che Armida,
Sazia del tuo piacer, l’odio funesto
Coll’ amor cangierà. Che te lasciando
Su quest’ isola ignuda, o in un oscura
Tormentosa prigion, rimasto in preda
A tuoi fieri rimorsi,
All’ orror di te stesso ; a liberarti
Dallo strazio crudel, l’amica mano,
Ch’or salvarti potria, richiami in vano.
Misero ! in tale stato
Oppresso, disperato,
Senza pietà, senza soccorso…
Rinaldo
Ah taci
Non inasprir la piaga,
Che mi lacera il cor. Se tu vedessi
Qua dentro amico, e quale acerba guerra
Vi fan gli opposti affetti, e qual mi scuote
Di miseria, e d’orror scena funesta.
Io ti farei pietà ; più non distinguo
Chi mi parla, ove son ; tremo, e confondo
Col periglio la scampo ; amico, oh Dio !
Guida, salvami tu. Fuggiam da questo
Insidioso recinto,
Mi fido a te ; più non resisto.
Ubaldo
Ho vinto.
Rinaldo
Vedo l’abisso orrendo,
Onde ritrassi il piede
Sento d’onor, di fede
Mille rimorsi al cor.
Tutto mi fa spavento
Dovunque volgo il ciglio ;
Ma in faccia al mio periglio
La fiamma ancora io sento
D’un male estinto ardor.
D’un nero mar cruccioso
Tutte le insidie ho scorto.
Grazia è del Ciel pietoso
S’io non rimasi ascoso,
Ma pur vicino al porto
Forse mi perdo ancor.
Fine dell’ Atto secondo.
 

ATTO TERZO

SCENA I

Spazioso sotterraneo auso d’incanti con Ara e Tripode Le seguaci d’Armida cinte di nere bende stanno amministrando con una dansa grave e solenne intorno all’ara un Sacrifizio agli Dei infernali. Armida assisa sul tripode, e tenendo in mano la magica verga vi assite, alzandosi crucciosa al finir del seguente.
Coro
Chi sorde vi rende
Al magico incanto,
Potenze tremende
De’ regni del pianto ?
Armida
Son questi, son questi
I carmi possenti,
Per cui di Cocito
Sull’ orride sponde
Raddoppio il mugito
De’ gridi funesti ;
Nè ancor sanguigna, e pallida
Luce coperse il dì
Nè l’arva informa, e squalida
Al suon temuto uscì.
Nè ancor si scuote il Tripode
Nè sull’ offerte vittime
La nera fiamma scende !
Coro
Chi sorde vi rende
Al magico incanto,
Potenze tremende
De’ regni del pianto ?
Armida
Gemer dell’ antro io sento
Le cupe ampie caverne ;
Vedo il baglior de folgori
Odo il muggir del vento,
Par ch’ Ecate precipiti
Dalle ragion superne.
Scuoton la reggia a Pluto,
Turbano a stige il corso
Queste mie note orrende.
Freme dall’ ombre eterne
L’abitator temuto,
E al mio soccorso intanto
Qual nuovo cenno attende ?
Coro
Chi sorde vi rende
Al magico incanto,
Potenze tremende
De’ regni del pianto ?
Armida
Misera ! Il Ciel m’opprime,
M’abbandona l’Abisso.
E Rinaldo… Ah crudel ! forse congiura
Getta infuriata a terra la verga, e il Tripode.
Anch’egli a’danni miei… l’arme fatale
Come in sua mano ? Oh Dio ! mi veggo ancora
Quella luce funesta sugli occhi balenar ; mi sento ancora
Un presagio crudel…

SCENA II

Ismene affannata, e frettolosa con alcune delle Seguaci, e detta.
Ismene
Corri, Regina,
Armida
Misera me ! che avvenne ?
Ismene
Il tuo Rinaldo…
Fuor del chiuso recinto
Una delle seguaci
Io l’incontrai
Coll’ ignoto guerrier…
Un altra delle seguaci
De tuoi custodi
La truppa sbigottita.
Armida
Ah tacete, v’intendo. Io son tradita.
Fugge l’indegno ? Oh stelle ! e i giuramenti…
Le promesse… la fede… in questo stato !…
Senza pur dirmi addio !… Numi ! e che fanno,
A queste di perfidia inique prove,
I fulmini impotenti in man di Giove ?
Vendetta, o Dei, vendetta… A chi la chiedo ?
Da chi la spero ohimé ? No non mi resta
Fuor, che ne’ miei sospiri altra speranza.
Questo che sol m’avanza
Infelice soccorso
Ah non si perda almen. Mi vegga il perfido
Supplice à piedi suoi chieder mercede ;
Inondarli di pianto, e se non sente
Qualche pietà dell’ infelice Armida,
M’abbandoni il crudel, ma pria m’uccida.
Ah mi tolga almen la vita
Il crudel, che m’ha tradita
Per pietà del mio dolor.
Se non basta in quel momento
Forse a uccidermi il tormento,
Perchè almen l’estrema aita
Non la debba a un traditor.
Parte con smania.

SCENA III

Ismene col coro delle Seguaci d’Armida.
Ismene
Ove corre, infelice ! Ove la guida
Il suo cieco furor ? l’antico fasto
La sua gloria dov’è ? Qual forza ignota
Si l’oppresse in un dì. D’amore il regno
Questa che a voglia sua volse, e rivolse,
Questa di mille amanti
I voti e i pianti a disprezzare avvezza,
Or siegue chi la fugge, e la disprezza.
Coro
Ah misera regina
Che sarà mai di te ?
Forse alla sua rovina
Volge infelice il piè.
Ismene
Andiamo, amiche ; In si crudel momento
Non si abbandoni al suo destin. Si cerchi
Fide egualmente a dì felici, e rei,
O di salvarla, o di perir con lei.
Schernita, depressa
Da un’ alma spergiura
La vita non cura,
Al duol di se stessa
Già cede il governo,
Nel Ciel, nell’ Averno
Più speme non hà.
Da noi solo aspetta
In tanto periglio
Tradita vendetta,
Smarrita, consiglio,
Oppressa, pietà.
Parte seguita dal Coro.
Coro
Ah trovi infelice
In sorte si fiera,
Se aita non spera,
Almen fedeltà.

SCENA IV

Spiaggia di mare, a cui si giunge dalle scoscese balze d’un alpestre montagna, le di cui falde formano in lontananza un piccol seno, dove è la navicella della Fortuna pronta alla vela. Ubaldo, e Rinaldo.
Ubaldo
Siam quasi in salvo, eccoci al lido. Osserva
L’amico legno, e quella,
Che ne siede al governo, e che a sua voglia
Regola i venti, e il mar, sicura Guida,
Che m’attende al partir.
Rinaldo
Povera Armida !
Ubaldo
Ma tu sospiri ! Il guardo
Fissi smarrito al suol ; confuso, è mesto
Or ti volgi, or t’arresti, e nel momento,
Che affrettar ti dovria, sembri più lento !
Che mediti ? che pensi ?
Rinaldo
Ah tutto, amico
Svelerotti il mio cor. Fuggir da quella,
Che fù l’anima mia, che patria e regno
Abbandonò per me, che resta in preda
All’ affanno, al rossor, m’empie d’orrore
Mi sembra crudeltà. Trionfo, è vero,
Ma il conflitto è crudel. Tutto m’invita
Se la ragione ascolto,
Sollecito a partir. Se ascolto, il cuore
Non parla che di lei. L’onor mi sprona,
La pietà mi trattien. Ma ch’io ritorni
A consolarla almen nel fiero istante
Della partenza amara, e chi’io le dia
Nel suo mortale affano i pegni estremi
Di tenera amistà, se non di fede,
La ragion non lo vieta, amor lo chiede.
Ubaldo
Signor che dici mai ? De’ molli affetti
Tremi al conflitto, e maggior guerra aspetti ?
T’arresta il passo un piccol rio, che appena
Serba un fil d’onda in faccia al Sirio ardente ?
E lo potrai varcar quando è torrente ?
E questo è il tuo trionfo ? Ah no, tu gemi
Ancor fralle catene, e per sedurti
Il piacer lusinghiero
Si veste di pietà.
Rinaldo
No, non è vero.
Son libero, son mio. Ma chi’io la lasci,
Ingannata cosi… Povera Armida !
Non la vedrò più mai. Che amaro pianto
Verserà da begli occhi ? E ch’io non possa
Raddolcirla, placarla,
Darle l’estremo addio…
Non lo sperar. Troppo trionfo è il mio.
Ubaldo
Vattene dunque, fuggi,
Và, colma la misura à tuoi delitti ;
Torna alle tue catene. Io solo al campo
Senza te tornerò. Dirò, che invano
Impiegò per salvarti
I suoi prodigi il Ciel ; che più non curi
Nè l’onor, ne la fè ; che ti lasciai
Dal tuo vil giogo oppresso,
Della Patria nemico, e di te stesso.
Torna schiavo infelice,
Alla prigione antica ;
D’un empia ingannatrice
Torna frà lacci ancor.
Vanne, ma pensa intanto,
Che sciogli un di vorrai,
Quando fia vano il pianto
Inutile il dolor :
Scostandosi per partire.
Rinaldo
Ah non lasciarmi no.
Trattenendolo con smania.
Che barbaro rigor !
Quel che vorrai farò.
Perdona a un folle amor
L’affanno mio.
Vorrei partir… vorrei
Darle l’estremo addio…
Poveri affetti miei !
Si sente in lontananza la voce d’Armida.
Armida
Aspetta traditor
Rinaldo
Eccola, oh Dio !
Col massimo trasporto.
Misera ! E’ già vicina.
Guardando dentro la scena.
Qual la rende il dolor ! Pallida, smorta,
Affannata, tremante… Ah vedi amico,
Come corre infelice ; e l’aspro gelo,
E le scoscese rupi
Sembrano un vano inciampo
Per le tenere piante a passi suoi…
Ah non sdegnarti. Io partirò se vuoi.
Ubaldo
Non è più tempo. Era prudenza allora,
Debolezza or saria. Ti serba il Cielo.
A dar di tua virtù le prove estreme,
Cerca il folle il periglio, il vil lo teme.
Rinaldo
Deh non lasciarmi amico. In questo stato
Più bisogno ho’ di te. Lo vedi, oh Dio !
Che momento funesto !
Ubaldo
Oh Ciel, l’assisti ; il tuo trionfo è questo.

SCENA V

Armida affannata e detti.
Armida
Fermati, aspetta. Ahime ! respiro appena.
Un palpito affannoso
Mi serra il cuor, mi toglie
E moto, e voce, e m’abbandona in questi
Brevi istanti fatali
Fin la forza di piangere i miei mali.
Ubaldo
Che periglioso assalto !
Rinaldo
Ah sconsigliato !
Qual cimento aspettai !
Armida
Mirami ingrato,
Ah que ti feci mai
Per ridurmi cosi ? Come a tal segno
Io da te meritai l’odio, e lo sdegno ?
Ubaldo
Tremo per lui.
Rinaldo
Resisto appena. Ascolta
E almen per poco Armida,
Modera il tuo dolor. Pur troppo io sento
I rimproveri tuoi, gemo al tuo pianto,
Mi dispera il tuo affanno, e al solo aspetto
Del tuo presente stato
Io mi sento morir. Vani argomenti
Sariano alla mia fuga
L’arti tue, l’odio antico, il mio periglio ;
Ma a un Cittadino, a un figlio
Parla la Patria, e il Ciel. Tutto condanna
Il nostro amore, e mi richiama altrove
La giustizia, il dover. Vuoi ch’io tradisca
Tante speranze, e tanti voti, e manchi,
Guerrier codardo, e cittadin ribelle
Alla Patria, all’ onor ?
Armida
Perfido ! Oh stelle !
Patria, e regno ebbi anch’io. Di mille voti
E di dolci speranze l’oggetto
Fui già gran tempo, e grand’invidia porsi
Dell’ emule regine al sasto altero ;
Anch’io del vostro impero
Distruggere i principi, e col tuo sangue
La Patria oppressa vendicar, stimai
Un consiglio de Numi, e ti salvai.
Ma son vane memorie. In questo stato
Sol le frodi rammenti, e l’odio antico ;
L’amante mi tradì ; parlo al nemico.
Tuo prigionier, tua preda,
Chiedo sol di seguirti. Ah dove andrei
Senza te sventurata, ove non sia
Segno agli scherni altrui la sorte mia ?
Teco verrò. La mia beltà negletta
Del tuo trionfo al campo
La gloria accrescerà ; Fedele ancella
Nel fervor della pugna a giorni tuoi
Io veglierò gelosa, e al ferro ostile
Del mio sen farò scudo. Ah non si nieghi
L’innocente richiesta al pianto mio.
Ubaldo
Vacilli forse ?
Armida
Ah non rispondi ?
Rinaldo
Oh Dio !
Tu nemica ? Tu serva ? Io te del campo
Al ludibrio esporrei ? Deh qui si il fine
Del fallir nostro, Armida,
E del nostro rossor. Nel lido ignoto
Nè copra la memoria eterno obliò.
Rimanti in pace. Addio. Gl’impeti accheta
D’un amore infelice ;
Io parto, a te non lice
Meco venir, la gloria tua lo vieta.
Addio. Più che non credi
Attroce nel lasciarti è la mia pena,
Ma seguirmi non dei.
Armida
Dunque mi svena.
Strappami il cuor dal petto,
Perfido, traditor.
Sia questo il premio almeno
D’un infelice amor.
Gettandosi a piè di Rinaldo.
Rinaldo sollevandola con passione.
Sorgi che dici ?… Oh Dio.
Ubaldo a Rinaldo con severità.
Ah ti seduce il cor.
Armida e Rinaldo
Che fiero stato è il mio,
Che barbaro dolor !
Armida
Tu vedi il mio tormento.
Ubaldo
Del Ciel le voci intendi.
A 2
E reo d’un tradimento
Armida
Un fido amore offendi ?
Ubaldo
Oltraggi onore, e fè ?
Rinaldo
Questo è crudel cimento.
A 3
Ah nell’ angustia estrema
Il cuor mi trema, e il piè.
Ubaldo a Rinaldo
Vieni l’onor t’affretta.
Rinaldo
Rimanti in pace. Addio,
No, più crudel del mio
Il tuo destin non è.
S’incamina con Ubaldo.
Armida smaniosa
Ah barbaro, aspetta
Ah fermati, ingrato.
Oh Numi, vendetta
D’un mostro spietato
Che fede non hà.
Sprezzata, tradita
M’opprime il tormento,
Mi manca la vita,
Gelare mi sento,
Oh Numi pietà.
Cade svenuta.
Rinaldo voltandosi con smania
Misera !
Ubaldo
Ah dove vai ?
Rinaldo
A richiamarla in vita.
Ubaldo
Fuggi la frode ordita.
Rinaldo
E troppa crudeltà.
Staccandosi da Ubaldo, e correndo affanato verso Armida.
Armida… Ah… più non hà
Ne moto, ne color.
Forse l’ucciderà
L’eccesso del dolor.
Ah mi si spezza il cor
Fra tanto affanno.
Senti… Non partirò.
Vedi… Che t’amo ancor.
Che parlo ? Oh Dio ! che fò ?
Oh sfortunato amor !
Dover tiranno !
Come restar degg’io ?…
Come partir dovrò ?…
Ubaldo risoluto incamminandosi verso il lido.
Tu resta, io parto.
Rinaldo correndo ad arrestarlo.
Oh Dio !
Misera.
Ubaldo
O vieni, o resta.
Rinaldo
Che fiera legge è questa.
Ubaldo
Ora è il rigor pietà
Rinaldo
Povera Armida. Addio
Il duol m’ucciderà.
Vanno al lido s’imbarcano, e partono.

SCENA VI

Armida svenuta, Ismene, e il Coro delle seguaci.
Ismene voltandosi verso il mare.
Eccola sventurata. In questo stato
Quell’ empio traditore
Potè lasciarla, e gli el sofferse il cuore ?
Coro delle donne con Ismene
Avanzandosi in vari gruppi verso il lido richiamando Rinaldo.
Ah barbaro, ah senti,
Rivolgi le vele
Ah mira, crudele,
De tuoi tradimenti
Il frutto qual è.
Ismene ritornando affanosa accanto a Armida.
Infelice Regina ! Ancor respira,
Palpita ancora. A richiamarla in vita
Alle sue seguaci che accorrono.
Ajutatemi amiche. Al tuo dolore
Deh non ceder così. D’un traditore
Non accresca il trionfo
La tua morte infelice. A vendicarti
Serbati in vita almen della vendetta
La speme non t’è tolta.
Deh consolati, Armida, Armida, ascolta.
Armida rinvenendosi a poco a poco.
Perche ritorno in vita ? Ah colla morte
Finisci almeno il mio crudel martiro,
Svenami, traditor. Stelle ! Che miro ?
Alzandosi spaventata nell’ accorgersi della fuga di Rinaldo.
Fugge il crudel ? Sulla deserta riva
Mi lascia sconsolata e semiviva !
E non l’inghiotte il mare ? E a incenerirlo
Fulmin non piomba ? E il duol, che mi divora
Mira l’abisso, e non si scuote ancora ?
Resta per un momento immobile fissando spaventata lo sguardo verso la marina, indi s’ineamina furiosa.
Sorgete alfin sorgete
Ritornando furente.
Alla temuta voce, o furie infeste,
Della notte profonda.
Si sentono fulmini, e tuoni e s’ingombra di tenebre la scena.
Struggete, oh Dei, struggete
Queste del mio rossor rive funeste.
Si sente in lontananza lo strepito della rovina dell’ isola.
I venti, e le tempeste
Turbino il Cielo, è l’onda. Ah più non chiedo
Difesa a un folle amor. Voglio vendetta
Della mia fè tradita.
Questa speranza sol mi serba in vita.
Io con voi la nera face
A turbargli i rai del giorno,
Al crudel sempre d’intorno
Nuova Furia agiterò.
Io nel sen tutto d’Aletto
Verserògli il rio veleno ;
A quel perfido dal petto
L’empio cuore io strapperò.
E agli ingrati eterno esempio
Nel suo scempio io lascerò.
(Monta Armida sopra un carro tirato da’ Dragoni alati, e intorno ad essa in vari gruppi sulle nere infuocate nubi le sue seguaci, che replicano in Coro.)
E agli ingrati eterno esempio
Nel suo scempio io lascerò.
Fine dell Dramma.